ZeroDx is back

Che poi se mi metto a promettere va a finire che non mantengo. Allora non dico che presto mi rimetterò a star dietro a questo sito. Non prometto novità, ecco. E invece si. Mi voglio rovinare. Prometto che starò dietro al sito, prometto novità.

Intanto lo sapete, no, che scrivo robe su tumblr, vero? Ecco, quando non sono in casa, mi trovate lì. http://zerodx.tumblr.com

Sull’Amore

Ma io che ne so. Che ne so dell’amore. Da piccolo guardavo i cartoni, c’erano dei gatti che si intrecciavano la coda sul camino di un tetto di Parigi. Per me l’amore era quello, era intrecciare la coda e poi suonare il jazz. Col tempo ho dimenticato la teoria, fatto poca pratica, e di colpo mi son visto iscritto all’esame di guida. Il primo esame, quello che se va male ci sono gli amici che ti dicono che tra un mese lo rifai. E ho capito che l’amore capovolge. Capovolge quelle code intrecciate, capovolge la vita e la scuote finché non ti cadono tutte le caramelle dalle tasche, capovolge gli amici, capovolge l’esistenza. Capovolge le tue abitudini e il tuo umore. L’amore ti da forza, quando è vivo, ti presta spunti, ti pone punti di riferimento, alimenta la tua autostima e la tua vita. Tutto è bello, tutto è vivo, tutti sono più simpatici, tutto è più facile. Poi quando l’amore viene intralciato da qualche bastone vagante che finisce inevitabilmente nelle sue ruote, ecco che tutto ciò che si è creato torna a ricapovolgersi. Il sorriso si capovolge, le musiche iniziano a scorrere al contrario, il tempo si inverte, tutto torna indietro. Parole e pensieri capovolgono il loro significato, la gravità influisce sulle lacrime, che cadono, scendono, arrivano in terra e fanno un botto così forte da sfondare il pavimento. Le code, quelle code dei gatti sui tetti di Parigi, quelle rimangono lì, restano lontane, tornando a intrecciarsi solo premendo il tasto play. Pure loro si sono capovolte. L’amore capovolge anche i sogni, li scuote per bene e li lascia lì, come un pezzo di carta ingiallito, come un tappeto che non si usa più, li lascia soli ad intrecciarsi tra loro, a suonare il jazz senza farsi sentire. E tu che mai come adesso sei un bambino che guarda lo spettacolo dal vetro di una finestra su un mondo a matita.

Riflesso color pioggia

Scrivo. In questo primo novembre scrivo perché non ho altro da fare. Scrivo anche per sentirmi un po’ meno in colpa di esser stato un altro giorno seduto davanti ad un computer, mentre la vita la fuori se ne va via sotto un ombrello. Scrivo di quanto sia assurdo trovare conforto in qualche pixel acceso, nel fissare un desktop azzurro, senza un pensiero definito. Ascoltando musica senza una logica, come un fiume, un ruscello sonoro che si mescola al calore della pioggia fredda che picchia sulla persiana. Scrivo anche per chiedermi il perché di questo stato di trance, da dove arrivi questa pausa, questa stasi mentale. Sono fermo, col freno a mano tirato alla vita. Scrivo e mi accorgo che non so neanche più scrivere come una volta. Non c’è musica che mi tiri su, non c’è stimolo che invogli qualsiasi azione, non c’è niente. Apatia, assenza. C’è solo la pioggia che batte sul pavimento del terrazzo. Scrivo dell’amicizia soprammobile, circostanziale, di quel valore di cui ci si fregia e ci si vanta, ma di cui si disconosce completamente il significato. Scrivo del gruppo assurdo di troppe persone, ognuna interessata solo al proprio piatto, dei gruppi nei gruppi, del capogruppo e delle ombre silenti. Scrivo del tempo che ci ha fregato tutti: volevamo passasse e ci ha fregato, è passato davvero. Il tempo si è portato via tutto, si è portato via me, si è portato via voi. Ha portato un misero bar, ha portato la discoteca al sabato e la birra in frigo, ha portato l’età dello stand-by, del lavoro qualsiasi, della macchina pagata dal padre, ha portato la passività totale. Sì, forse è così, forse sono qui che fisso il desktop perché non mi va di ridurmi ad uno schifo inumano al gusto di birra, che non mi va di saltellare come un deficiente al buio intermittente per farmi notare, che non mi va di fumare chissà quale copertone per dipingermi da mito agli occhi del mio specchio, che non mi va di sentire canzoni false per cercarmi un ideale altrettanto falso e scaduto, che non mi va di premere l’acceleratore pensando che stavolta ce l’ho fatta e sicuramente ce la farò sempre. Scrivo che forse sono l’unico ribelle, il normale al manicomio, la pecora bianca nel gregge di pecore nere. Mentre fuori piove, mentre il gatto guarda altrove, mentre fisso il desktop azzurro, e tiro il freno a mano.

E’ tornato il passato (Ritorno al Futuro 25°)

Ogni volta che guardo un film uscito prima che io nascessi penso a come sarebbe se potessi vederlo al cinema, a quel tempo, quando uscì, quando non ero ancora nato o quando ero troppo piccolo per apprezzarli. Jurassic Park, Indiana Jones.. sono alcuni di quelli che vorrei rivivere al cinema, nei cinema di quel tempo, accanto a gente vestita di jeans a vita alta, capelli cotonati e tanti maglioni larghi. Tra quelli c’è anche Ritorno al Futuro. Solo che stavolta Ritorno al Futuro al cinema ho potuto vederlo davvero.

Venticinque anni fa usciva Ritorno al Futuro e, per festeggiare, il film è stato riproposto in alcuni cinema solo per un giorno. E tra quei cinema c’era anche quello vicino casa mia! Chissà quando ricapiterà di vedere un film del 1985 al cinema! Ho prenotato i biglietti con una settimana di anticipo, mai fatto!

Non me l’aspettavo, la sala era piena. Un pubblico dai 20 ai 30 anni, e forse anche 40, tutti lì ammassati, tutti fan, tutti appassionati, tutti che quel film lo conoscevano a memoria, tutti con almeno una cosa in comune. Tutti desiderosi di vedere al cinema quella pietra miliare. Luci spente e parte un applauso, qualcuno urla “Vai Marty!”.

Il pubblico rideva alle battute che conosceva già, forse per partito preso, forse perché troppo immersi nel ricordo della loro infanzia, forse perché effettivamente le battute facevano ridere davvero. E io che sapevo già come andava a finire, fremevo pensando che magari Marty questa volta non ce l’avrebbe fatta. Le battute del film, la sua sceneggiatura, i personaggi, la semplicità, l’essere una commedia camuffata da film di fantascienza, tutto funziona, e funziona alla grande. Ancora, venticinque anni dopo.

Su quello schermo ero abituato a vedere tutt’altri film. Un film come Ritorno al Futuro, al giorno d’oggi risulta meno appariscente dei film attuali, meno sfarzoso, quasi meno cinematografico. Sembra un film intimo, intimidito dalla grandezza di quello schermo. Il colore è come ormai non se ne vedono più al cinema: è reale, non è un colore finto, non è ritoccato. Non è il colore acceso e saturo dei film attuali, è il colore vero degli anni 80. C’è la grana della pellicola, le sfocature, c’è quel cinema unto e sporco, quasi meccanico di vent’anni fa. E nonostante la proiezione digitale togliesse il fruscio della pellicola e proiettasse un’immagine nitida e cristallina, Ritorno al Futuro era lì con tutto lo splendore dei suoi anni, testimone inoppugnabile di un cinema che non c’è più.

Ruggeri è un Mistéro

Su TempoSprecato, si è dimostrato più volte ormai, non si parla solo di video, di stronzate personali o di poco altro. Si parla anche di Musica. E Ruggeri è uno che la musica l’ha sempre fatta e l’ha sempre fatta bene. E qua il nostro Ginblack (aka quello che fa RadioTube insieme a me) è qua per raccontarci, con ben 2 mesi e mezzo di ritardo, il concerto di Enrico Ruggeri del La Ruota Tour, vissuto in prima persona a Castelnuovo Val di Cecina!

08/08/2010

“Solitamente in queste occasioni, si perde tempo a fare paragoni con i vari Ligabue e Vasco, incentrandoli sulle varie performance pseudo-rock degli artisti, e di quanto possono essere “animali” da palco. Con fermezza decido di sbattermene altamente. Sono venuto a sentire un concerto di Musica d’autore e a farne una recensione non troppo elaborata su questo blog, nient’altro. Il campo sportivo lentamente si riempie, la location mi fa pensare ironicamente che sarò spettatore di un evento molto intimo (un San Siro questa sensazione non riuscirà a darmela). Lentamente tutta l’erba del campo si colma di gente, la sensazione d’intimità comincia a vacillare ma riesco ad avvicinarmi alle transenne. mi appoggio, anzi mi attacco prepotentemente alla barra di metallo, non provate a rubarmi il mio posto! I tecnici cominciano provare le luci, per ingannare l’attesa fanno partire un disco di Andrea Mirò (una bella trovata pubblicitaria se non fosse che quasi nessuno lo sta minimamente cagando). Poi, curiosamente, poco prima dell’inizio, una donna munita di microfono e un cameraman si avvicinano alle transenne. Si fermano a caso su delle persone e comincia una specie d’intervista, come se tu fossi il vip onorario che è andato a vedere un concerto di chissà quale star. Senza che io lo chiedessi, sono uno dei prescelti dalla donna (l’avrei fatto anch’io al posto suo U.U). a intervista finita si spengono le luci. Salgono i musicisti, al buio (devono esser abituati), poi parte la musica, le note sono quelle di Vivi. le luci si accendono. Il Rugge entra suonando anch’egli la sua chitarra, si avvicina al microfono e parte ufficialmente il concerto. Solamente in tre o quattro canzoni Enrico suona e canta, nel resto dell’evento il suo scettro diventa l’asta del microfono. E con la sua fantasia, durante gli assoli, se lo accavalla sotto le gambe e imita dei movimenti degni del miglior Rocco. Poi lo alza al cielo come farebbe Mosè col bastone di Dio. E lo usa anche come finta chitarra portandoselo sempre a spasso. Anche i metodi con cui il Rugge decide di far partecipare il pubblico, al quale è vietato non restare coinvolto nella sua musica, sono da sottolineare. Egli si sofferma su di te, ti guarda col suo sopracciglio, è interessato a vedere cosa fai. Se non fai niente lui continua a fissarti. Allora canti anche tu insieme a lui, mimi qualche gesto rock ‘n roll, e se lui si ritiene soddisfatto si allontana, ma solo per andare a colpire qualche altra anima del pubblico. Comunque sai, che ritornerà a fissarti fra qualche minuto. Come ormai abitudine di quasi ogni cantante, per le canzoni nuove vien fatta prima una piccola introduzione dell’artista, che ti racconta come è nata e di cosa andremo a parlare, pardon, cantare. Una novità del tour di quest’anno, è l’introduzione di una ruota una finta ruota. In pratica, veniva chiamato in causa qualcuno del pubblico (persone gia stabilita all’inizio) che saliva sul palco e premeva un pulsante. esso azionava la falsa ruota che girava sullo schermo a ridosso del batterista che sceglieva a caso una canzone del repertorio ruggeriano. la casualità è vera, non escono le stesse canzoni ad ogni concerto e non c’è niente di prestabilito prima di ogni serata. Due ore e mezzo di musica filano via, neanche troppo velocemente, ti senti trascinato e riesci a godertelo tutto. Non condivido la scelta di cantare brani portati al successo da altri interpreti: il mare d’inverno e quello che le donne non dicono per fare esempi (che con quel testo al femminile cantato da lui fa un po’ impressione). La varietà di pubblico è vasta, dai teenagers (strano) agli ultra quarantenni e cinquantenni. Durante Quante vite avrei vissuto osservo gli occhi lucidi di una donna affianco a me. Potere della musica. il concerto si conclude con l’instrumental di Padri e figli e col lancio di vari gadget alla folla che pian piano esce dal campo. È stato un bel concerto. Alla fine del tutto sono inevitabili i pensieri riguardanti il contesto. È inevitabile pensare come Enrico Ruggeri meriti di più di un campetto da calcio con qualche migliaio di persone. Ma la situazione musicale italiana è questa… e per parlarne servirebbe un’altra recensione.”

(Ginblack)

RadioTube 9 – RadioTube prende fuoco

Puntata veramente scottante, argomenti pruriginosi e delicati trattati con la rinomata grazia e sapienza dai conduttori più conducenti del web! Nona puntata, un leggero balzo in avanti tecnicamente e argomenti più seri per una data storica: 10/10/10. Berlusconi ha bestemmiato? Tiziano Ferro ha fatto outing? Ci vorrebbe la pena di morte? E molto, ma non tanto, altro!